La festa del lavoro induce in riflessioni dolorose in questo 2020.
La vera festa infatti sarebbe tornare al lavoro, non astenersi da esso. Ma che fare? Ben siamo consapevoli del coronavirus e anche del fatto che l’epidemia sia ben lontana dall’estinguersi, ma tuttavia siamo anche bisognosi di tornare alle nostre occupazioni senza le quali il futuro sarà privo di prospettive nel senso piu’ drammatico.
Siamo combattuti tra due esigenze dunque, quella di rispettare i protocolli di sicurezza che non sono formali divieti ma sostanziali bisogni per la salute di tutti e allo stesso tempo ritornare alle nostre occupazioni, senza le quali si prospetta solo il nulla esistenziale.
In questa tensione si svolge la festa del primo maggio quest’anno, una festa che è una speranza, un grido verso l’alto, un’attesa che tutto finisca, ma anche una preoccupante sensazione di vuoto che circonda.
Non avremmo mai creduto di vivere una situazione cosi surreale, quante volte ce lo siamo detto. Lamentele, proteste, rabbia sociale non servono, accuse a questo o a quello nemmeno, rimane un senso di dolorosa impotenza…o forse una preghiera…Signore benedici il nostro lavoro.
vito sutto