Al cinema all’aperto di piazza Primo Maggio a Udine, è ritornato il film di Federico Fellini “I Vitelloni”. E’ una pellicola del 1953 e sono passati quasi 70 anni dalla sua presenza nelle sale cinematografiche.
In tutti questi anni l’Italia ha vissuto l’emigrazione, il boom economico, “Lascia e raddoppia”, il 68, il terrorismo e poi di crisi in crisi, di vicenda in vicenda, siamo arrivati agli ultimi fatti di casa nostra.
Dunque, è un film che può dirci qualcosa, dopo tanto tempo?
Pare proprio di sì ! Storicamente “I Vitelloni” segnano il passaggio graduale dal neorealismo a un cinema dei sogni e dell’inconscio. E’ un linguaggio nuovo che prende lo spunto dalla psicologia.
La critica cinematografica del dopoguerra mal sopportò questo atteggiamento immaginifico, ma ora sappiamo che sbagliava. Federico Fellini non era catalogabile ma si è sempre comportato da curioso e beffardo interprete della realtà che lo circondava.
Nel caso specifico del film “I Vitelloni”, cioè dei 5 giovinastri perditempo che se ne andavano in giro facendo chiasso e ridendo nei vicoli di una cittadina di provincia anni 50, il tema è universale e il tempo non ne sbiadisce la carica di veridicità.
L’epica provinciale di tanti ragazzotti afflitti dalla noia e da una sorta di apatia post-adolescienziale, la troviamo anche oggi nelle pieghe delle “movide” onnipresenti nelle piccole come nelle grandi città.
Al di là della trama che probabilmente tutti conoscono restano fisse nella mente alcune sequenze: la pernacchia di Alberto Sordi agli operai che lavorano sulla strada, le passeggiate stanche sulla spiaggia, l’episodio dell’avanspettacolo, la festa finale di carnevale .
Piccole grandi vicende che però hanno un carattere universale. Il linguaggio dei “Vitelloni”, con le loro sghignazzate, lo comprendiamo anche oggi, sia pure in contesti diversi. La commedia malinconica e cinica del regista riminese ci commuove ancora oggi perchè , nonostante il tempo che passa, molti di noi sono fatti della stessa pasta dei patetici “viveur” felliniani.