GRANDI E PICCOLI SCHERMI
Di Marcello Terranova
Robin Hood – Principe dei ladri (Robin Hood: Prince of Thieves) è un film del 1991 diretto da Kevin Reynolds. Dopo “Robin e Marian” con Sean Connery, “Robin Hood il principe dei ladri” con Kevin Coster e “Robin hood” con Russel Crowe, qualcuno sentiva la mancanza di un altro film su Robin ? Forse sì ! La leggenda del nobile Robin di Loxley che decide di rubare ai ricchi per donare ai poveri, si presta ad ogni adattamento, a seconda del momento storico e politico in corso. Deve averlo capito anche Leonardo di Caprio che non ha badato a spese per produrre il colossal Robin Hood – l’origine della leggenda. Infatti, per far cassetta, il regista Otto Bathurst viene incontro al gusto della generazione Millennials, i veri destinatari della pellicola. Dato che non interessa molto ai giovani, la fedeltà storica è quasi assente: lo sceriffo indossa in pubblico un soprabito di pelle uscito da una boutique, il frate Tuck ha gli occhialini di Harry Potter, lo stesso Robin veste una sorta di giacca a vento ultima moda, la bella Marian, una donna del 1100, sbeffeggia l’autorità davanti a tutti invece di stare zitta e con gli occhi bassi. Ma tutto ciò, mentre scandalizza la critica ufficiale, non preoccupa per niente gli spettatori abituati alle disinvolte serie televisive di argomento storico, dove la fedeltà filologica è un optional. Una volta i produttori americani venivano a Cinecittà a realizzare i film storici, ora vanno a Dubrovnik in Croazia e in Ungheria negli studios Korda di Budapest. Il nuovo Robin Hood rientra nel genere avventuroso che attualmente vive il suo momento migliore grazie all’esperienza della pubblicità, dove la bellezza dell’immagine è tutto, più dei contenuti. Qui non interessa la storia che del resto si sa già, ma il turbinio degli effetti visivi. Robin non scaglia una sola freccia, ma una al secondo anche volteggiando per aria, ovviamente ripreso al rallenty, Le sue corse a cavallo sono come quelle di Daniel Craig, lo 007 in motocicletta sui tetti di Istanbul. I movimenti delle cineprese sistemate su dolly e su droni amplificano lo spettacolo dell’azione come in Black Hawk Down di Ridley Scott. Il direttore della fotografia George Steel gira in 8 K e usa obiettivi speciali come nella mitica inquadratura macro del timbro in ceralacca rossa che sigilla la pergamena-precetto che obbliga Robin ad abbandonare gli agi e l’amore di Marian per partecipare alla crociata. Ma i veri miracoli li fanno gli scenografi. Una fabbrica di alluminio in disuso fuori Budapest viene trasformata nel complicato labirinto di una fortezza saracena sotto attacco dei Crociati. Il castello di Loxley è un granaio abbandonato, i tartassati dallo sceriffo abitano in strutture di legno che fanno pensare alle misere favelas di Rio. Insomma i set sono fantastici e i nostri eroi fanno onestamente la loro parte: Taron Egerton è un Robin scanzonato e innamorato, Eve Hewson, tra l’altro figlia di Bono degli U2, è una Marian sensuale quanto basta , Jamie Foxx , abile guerriero moresco ma anche un filosofo popolare che insegna a Robin il giusto modo di agire. Insomma 116 minuti da vedere e forse da rivedere perché si presentano come un concentrato di tecniche di ripresa e di scenografie ai massimi livelli e poi… Robin Hood fa sempre sognare.
Marcello Terranova