Il film racconta una storia accaduta in Carnia

Il 23  settembre è stato proiettato al Visionario di Udine il film “Maria Zef”,  uscito sugli schermi friulani nel lontano 1981. Così gli udinesi (la sala cinematografica era piena !) hanno potuto gustare la versione restaurata della pellicola, grazie alla RAI in collaborazione con la Cineteca del Friuli. E’ stata un’occasione anche per presentare al pubblico la protagonista Renata Chiappino che all’epoca aveva solo sedici anni.

Tratto da un romanzo della scrittrice veneta Paola Drigo, il film racconta la vita grama di tre donne rimaste sole dopo la morte del capofamiglia. Fra stenti e maltrattamenti nella baita dello zio “Barbe Zef” in mezzo ai monti della Carnia nei primi anni del 1900, anche la madre muore e così l’adolescente Mariute e Rosute di 6 anni rimangono sole in balia di un uomo rozzo e senza scrupoli. In preda all’alcol, l’uomo non esita a violentare la più grande e aspetta il momento opportuno per approfittare anche dell’altra. Ma sia nel romanzo che nel film, dati tempi, il finale è sorprendente:  la mite ma esasperata Mariute non esita ad uccidere lo zio con una mannaia.

Il romanzo verista di Paola Drigo esce nel 1936 in pieno regime fascista, in un’epoca in cui la società patriarcale di allora mal tollerava l’intraprendenza delle donne soprattutto in ambito familiare. Nel 1980, quando si stava girando il film ispirato dal libro omonimo, nella legislazione italiana era ancora in vigore il delitto d’onore e una giovanissima nipote che uccide lo zio in quella maniera  si era visto solo nei film horror.

Affidare il ruolo della protagonista ad una ragazza, con attori tutti non professionisti e parlato interamente in lingua friulana, nei primi anni 80 risulta un’operazione molto coraggiosa, come del resto lo era stata l’apparizione dell’audace libro di Paola Drigo. E’ vero che nel 1978 era uscito il film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, parlato in bergamasco ma i protagonisti erano dei maschi e poi in “Maria Zef” l’argomento è assai scabroso: l’incesto in un contesto di povertà e miseria. Non solo,  ma nei dialoghi affiorano tematiche come l’aborto e la sifilide, parole quasi tabù nella società italiana di 40 anni fa.  

Non stupisce che il film abbia avuto una vita difficile fin dall’inizio. Presentare il contesto montanaro della Carnia come un luogo selvaggio dove avvenivano fatti tremendi come quelli, faceva arricciare il naso al pubblico benpensante. Perché dare questa brutta immagine del Friuli? Insomma il film circolò poco e per lunghi anni rimase chiuso in un cassetto, finché l’anno scorso alla 76° mostra del cinema a Venezia, la pellicola è stata “riscoperta”, restaurata e inserita nella sezione “Venezia classici”.

Oggi possiamo apprezzare meglio l’ardua operazione del regista Vittorio Cottafavi che pensava a questo soggetto fin dal 1936 al tempo dell’uscita del libro della Drigo. Ammirevole l’intensa interpretazione del ruvido “Barbe Zef” personificato dal poeta e scrittore Siro Angeli di Cesclans che collaborò anche alla sceneggiatura e alla stesura dei dialoghi in friulano. Notevole anche l’interpretazione della protagonista Renata Chiappino che, come scrive il critico Carlo Gaberscek, “riesce a ingentilire e addolcire l’atmosfera prevalentemente dura, cruda e amara di questo lavoro”. Durante la proiezione, il pubblico del “Visionario” era silenzioso e attentissimo, segno che “Maria Zef” è un film da ricordare e tenere presente.  

Grandi e piccoli schermi

Di Marcello Terranova

     

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