Udine – Gennaio 2021
Giuseppina Lesa (Udine 1955) ha sin da giovanissima coltivato l’arte del disegno, della pittura, della scultura, della calcografia. In quest’ultima specialità è divenuta esperta nelle tecniche dell’acquaforte, dell’acquatinta e della puntasecca. Ha conseguito importanti Diplomi in varie Scuole, tra i quali il Diploma triennale presso la ‘Scuola d’Arti e Mestieri Giovanni da Udine’, inoltre il Diploma presso la Scuola ‘Accademia Raffaello’ di Urbino e presso la ‘Scuola internazionale di Grafica’ di Venezia. Ha al suo attivo numerosissime Mostre personali e collettive in Italia e all’estero organizzate sin dalla adolescenza. Ha fondato il Laboratorio Artistico ‘La Punta’, dove tiene Corsi nelle varie tecniche della calcografia, incontri sull’arte, conferenze che porta anche nelle Scuole Superiori del Friuli e del Veneto. È Educatrice per i giovani portatori di handicap presso le Scuole di Secondo Grado dove si serve del disegno e del colore per ottenere il risultato. È poetessa e saggista con Diari contenenti riflessioni sulla natura dell’arte. È stata insignita di Premi e riconoscimenti rilevanti, nel 2020 del Premio ‘Franz Kafka Italia ®’ alla Cultura.
Venendo alla tela “Infantia” (17×24), interessante quanto sobria di forme e colori composti in una simbologia complessa con qualche tocco naïf, sono espressi in essa principalmente due degli importanti temi intrinseci alla visione del mondo dell’artista Giuseppina Lesa: il rapporto dell’età adulta con l’infanzia e il Leitmotiv della più profonda solitudine umana.
Il profilo della donna, a tinte cupe, non in luce bensì in una identità offuscata dalla sofferenza come si evince dall’espressione, si staglia sullo sfondo di una casetta bianca, dai confini precisi, ma irregolare in un’architettura non ancorata su fondamenta in muratura, casetta e di fatto non è edificata in mattoni, né costruita per stare eretta sul terreno, bensì si delinea staccata da ogni suolo e si rivela come una casetta astratta e immagine della più libera fantasia. La testa, per quanto comunica l’immagine, è appoggiata su un verde terrapieno a due sbalzi evocante una natura rigogliosa, nel contempo la presenza di una geometria non proprio naturale, ma tipica dei materiali solidi, del marmo, della pietra modellata dalla mano dell’uomo, ne fa un terrapieno dalla duplice simbologia. Chiarendo quanto affermato: il busto non è situato a terra, ma più in alto, come se, per giungere nella posizione, la donna avesse dovuto superare ostacoli verso l’età non più infantile, il tutto in una esistenza difficile che l’ha portata sì in alto, ma a spese di una sognata serenità esistenziale. Del colore verde, cromia che dai tempi più arcaici porta in sé un’opposta simbologia di vita e di morte che ritroviamo estrinsecata in questa tela, vediamo subito il lato positivo che inerisce all’energia vitale della natura, la medesima energia che ha reso possibile alla donna la costante rinascita e ascesa. Il busto per così dire tagliato sul terrapieno verde ha in aggiunta una simbologia parallela non del tutto lieta che ha agganci con l’altra simbologia propria del colore verde che sta in contrasto con quella vitale: appare collocata in uno speciale monumento alla memoria per ciò che non è più e ciò che non è più è la concretezza del bianco cavallino a dondolo separato ormai dal mondo materiale dalla linea bianca del percorso che gli appartiene. Si tratta di un cavallino che è uscito dalla casetta bianca, dalla parte più luminosa della mente della donna. Significativo è il colore con cui è tracciato il titolo Infantia posto in calce al dipinto quale omaggio a cavallino e casetta, nonché alla bellezza dell’età fanciullesca, alla sua innocenza e alla sua luce simboleggiate dal bianco puro. Il cavallino a dondolo è un compagno della fantasia del bambino che si lascia cullare felice dal suo sogno di andare lontano pur rimanendo ancora nella genitoriale casa che lo protegge da ogni pericolo, da ogni estremo, un sogno specificamente della bambina, trattandosi in primis della proiezione del sentire di Giuseppina Lesa. Nella tela la donna è adulta e la sua infanzia, irraggiungibile nel concreto, vive nella sua mente come sofferta nostalgia per un mondo luminoso, ma anche misterioso perché scarsi ed evanescenti ne sono i ricordi accanto agli intensi sentimenti che ne evocano le immagini sognate in un’estetica che ne definisce la natura tanto amata. In altri termini: il cavallino così bianco e splendente, richiamato in vita dalla nostalgia della donna, non vive della luce del reale, ma della luce interiore della fantasia – lo sfondo cui allude il cielo ed è concreto in tal senso, è quanto mai fosco e senza sole, nulla vi è di azzurro e anzi macchie spiacevoli ne deteriorano l’aspetto, è un cielo che non parla di spiritualità e che al contrario contribuisce a oscurare il volto della donna. E il cavallino, dopo la sua breve uscita, è già nella direzione del ritorno a casa, nella sua casa più propria: la mente, suo luogo ormai unico di esistenza. Mentre il cavallino a dondolo è raffigurato integralmente nelle sue componenti, la donna è priva di corpo, solo il busto di testa e collo esistono. Una persona senza gambe, senza corpo non si muove nel reale materiale, in cui servono gambe e corpo, ma si muove cavalcando il cavallino, novello ippogrifo con le ali di una fantasia originalmente radicata nell’età più creativa, l’età dei giochi più fantasiosi, della più fervida immaginazione irreale caratteristica dei fanciulli. La donna può dunque cavalcare la fantasia, così diversa dal reale che si rivela cupo nel volto della donna, una fantasia che può fungere da realtà psichica splendente rispetto alla realtà concreta che non riluce, una fantasia d’artista sognante su quell’ippogrifo senza limiti che è la fantasia bambina. Con pochi tratti magistrali Giuseppina Lesa viene a configurare simbolicamente la radice creativa più genuina della sua arte – e dell’arte – associabile per gli aspetti più profondi al fanciullino evocato da Giovanni Pascoli.
Si evidenzia nella tela l’altro annunciato Leitmotiv dell’arte di Giuseppina Lesa: il senso di totale solitudine. Nessuno compare all’orizzonte, nessuna casa concreta, la donna è sola con la sua mente, con la sua nostalgia per un’infanzia felice o sognata tale come in rimembranze di leopardiana memoria. Unica presenza fedele e sincera, amica, appare in questa tela l’arte con la sua grande luce interiore che si staglia nei cieli più foschi.
Per concludere: l’immaginazione artistica come luce dell’esistenza, lo sguardo bambino del periodo più creativo e luminoso nella vita dell’uomo cui allude anche la piccola dimensione della tela adatta in particolare a manine ancora fanciullesche, un’età adulta certo più consapevole e capace di agire nel reale, ma anche meno lieta e più solitaria. Questo, accennato nella presente analisi ossimoricamente sintetica, comunica il nucleo centrale più profondo del messaggio contenuto nella tela di intenso impatto emozionale “Infantia” di Giuseppina Lesa.
Rita Mascialino