Cibis spezia Udinese-a

Andando a rivedere la sequenza, e seguendone il protagonista dai primi
movimenti, ci si rende conto del capolavoro che il nostro capitano –
sempre più calato nella parte che fu dell’indimenticato Alessandro
Calori – ha compiuto all’85’ respingendo di testa il colpo piazzato da
Verde che aveva superato Silvestri e stava filando in rete. Bram
Nuytinck, nell’area già affollata dove a marcature saltate regnava la
confusione, non si è aggiunto alla calca; in un attimo ha capito che
doveva arretrare a coprire lo spicchio di porta dove un piede educato
come quello del fantasista spezzino avrebbe potuto bucare il portiere.
Aveva visto giusto e da quella capocciata salvifica, sintesi di
un’intelligenza superiore (non da oggi s’erano intuiti spessore e
spirito leader dell’olandese), è nata la vittoria dell’Udinese a La
Spezia: altri tre punti che portano il totale a 7 e l’Udinese al
quarto posto assieme all’Inter dopo tre partite. Beninteso senza porre
limiti, ecco servito il primo tesoretto per metterci almeno al riparo
dalle sofferenze delle ultime tribolate stagioni.
Il salvataggio del capitano vale due gol: quello evitato e quello
maturato sulle premesse di uno scenario sbocciato negli ultimissimi
minuti. Nessuno mi leva dalla testa che, fosse entrato quel pallone,
l’Udinese avrebbe perso la partita: si sarebbe capovolto il quadro
tattico ed emotivo a vantaggio dello Spezia, che nei dieci minuti
finali si sarebbe potuto concentrare nella rottura, nello spezzare le
trame friulane, con buone probabilità di riuscita. Per queste ragioni,
nelle pagelle personali assegno a Nuytinck il voto più alto: gli do 8,
senza dubbi. E senza che la valutazione intacchi i meriti dell’altro
protagonista di giornata, il debuttante diciannovenne Lazar Samardzic
che a un minuto dal novantesimo ha inventato il gol-vittoria. Il
sangue serbo, ricco di immaginazioni, innestato sul rigore tedesco ha
generato un prodotto di valore e di grandi prospettive che Pozzo jr ha
portato a casa per 3 milioncini da Lipsia, con vincolo contrattuale
fino al 2026. Potenzialmente un investimento destinato a rendere – il
calcolo è per difetto –  dieci volte tanto nel giro di un paio d’anni.
A stupire è stata l’essenzialità del gesto di Samardzic in una fusione
di arte e semplicità: la palla arriva da Makengo, controllo naturale
di sinistro, finta che smagnetizza la bussola di due spezzini, poi
entra in scena il destro (che non è il piede buono) per il colpo
piazzato dove il portiere non immagina. Il tutto con la naturalezza
dei grandi, dei quali sappiamo qualcosa proprio noi che qui abbiamo
avuto Zico, inarrivabile nel concepire e sviluppare trame di tale
sostanza.
Tutto bene, allora?  Bene sì, non benissimo, perchè la partita del
Picco ha svelato anche zone d’ombra di un’Udinese tetragona nel suo
impianto generale eppure vulnerabile nel cuore del campo quando i
ritmi si alzano e ai mediani si richiede una superiore reattività e
spirito combattivo. Vedasi Walace e poi Arslan, deputati a schermo e
rilancio, i meno convincenti nella recita spezzina per le troppe palle
perse, per una certa svagatezza fuori contesto nei torridi cimenti con
squadre frizzanti e da corsa quali sono le “piccole” del nostro
campionato. E Gotti, a ragione, li ha tolti dallo scacchiere pescando
nella voglia del giovane Makengo e del vecchio Jajalo. Dai nostri play
ci aspettiamo altro  a breve giro: già si profila la sagoma del Napoli
al quale la mano del fegatoso Spalletti sta togliendo la patina di
leggerezza incompiuta. Qui vedremo di che pasta è fatta l’Udinese, con
la speranza che il nobile piazzamento di oggi non sappia di usurpato.

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