L’ultimo report trimestrale sui distretti industriali della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo informa che il Friuli Venezia Giulia ha bruciato nel secondo semestre 2023 il 17,4% delle vendite in Germania dopo il già pesante -9% del primo trimestre. La forte esposizione verso Berlino rischia di complicare la situazione per le imprese regionali. La nostra, con 2,5 miliardi di euro di interscambio pari al 7,6% del Pil, è la terza regione più esposta sul mercato tedesco dopo il Veneto (11,1 miliardi) e il Piemonte (9 miliardi).
Le ripercussioni della brusca frenata della manifattura mondiale sulle vendite del made in Italy sono del tutto evidenti. Nei primi sette mesi del 2023 l’export verso la Germania è sceso. Recenti indagini congiunturali di Confindustria confermano la frenata per settori come la meccanica, ma anche il legno-arredo o la gomma-plastica. Il valore dell’export verso la Germania per Trieste vale 284 milioni e si è praticamente dimezzato nel secondo trimestre perdendo il 42,2% del valore; Udine 1,2 miliardi (-11%); Gorizia 210 milioni (-6,1%). Trieste esporta verso Berlino soprattutto prodotti alimentari (214 milioni), prodotti in metallo (133,3) e in misura molto minore tessile e abbigliamento.
Secondo l’Ocse le prospettive di crescita sono deboli: la persistenza dell’inflazione e delle strette monetarie limita la crescita globale al 3,0% nel 2023 e del 2,7% nel 2024. Intanto per quest’anno in Germania si parla apertamente di recessione (-0,2%) seguita da un recupero nel 2024 (+0,9%) mentre la ripresa della Cina è più debole del previsto dopo la riapertura post-pandemia, con una crescita prevista al 5,1% per quest’anno e al 4,6% nel 2024.
Malgrado ciò, per me incredibilmente, la BCE non ipotizza un ribasso dei tassi d’interesse temendo la ripresa dell’inflazione (che contrasta con il vecchio algoritmo legato, appunto, al costo del danaro) senza preoccuparsi delle prospettive delle imprese private industriali e dei loro profitti che significano occupazione e gettito tributario, incurante del rischio dell’impoverimento generale che ne consegue.
Una delle cause della recessione tedesca è il passaggio per Berlino della Via della seta, teniamo presente che la Cina è il quarto mercato dell’export tedesco mentre era il dodicesimo dieci anni fa. Nel primo semestre del 2023 il rallentamento dell’economia cinese si è tradotto in un calo dell’8,5% dell’export tedesco in Cina, con effetti sulla catena di fornitura che interessano anche l’Italia di cui la Germania è il primo mercato delle esportazioni. Il calo dell’export dei metalli di base e prodotti in metallo arriva al -19,2%.
È indubbio che siamo all’inizio di un ciclo di raffreddamento dell’economia pressoché mondiale con una probabile durata di 18-24 mesi. Non si vedono solo nubi all’orizzonte, ma anche possibili burrasche. Eppure la rotta può e deve essere invertita portando un giovamento in tempi rapidi malgrado una situazione geopolitica terribile, specie per l’Europa in mezzo ai fuochi di due guerre sporche, come tutti i conflitti bellici.
Di fronte agli eventi negativi inaspettati degli ultimi anni l’economia regionale industriale ha mostrato una notevole capacità di resistenza e reazione (qualcuno la chiama “resilienza”), superiore a quella della Germania, principale mercato di riferimento per le nostre aziende. La Germania è, come accennato, il primo partner economico della regione e dell’Italia. Le recenti notizie che arrivano – dalla Cina lasciano intravedere un ulteriore frenata. Ovviamente non allo stesso modo per tutti i settori per tutte le imprese, ma essendo la Germania molto forte nella meccanica e nei macchinari, che sono anche i punti di forza nazionali, saremo tra i primi a risentirne.
Ricette miracolose non ce ne sono, ma alcuni concetti potrebbero essere sviluppati: sburocratizzazione, investimenti nel settore delle imprese, favore di banche e finanza all’economia reale, occupazione, salvaguardia dei livelli lavorativi, cultura della managerialità, un settore pubblico finalmente al servizio di imprese e cittadini, una politica che s’ingegni nell’individuare scelte innovative capaci di far maturare decisioni in controtendenza rispetto a quelle attuali a BCE, UE e governi nazionali e locali ponendo al centro l’Uomo e la sua prospettiva di operoso benessere.
Daniele Damele
Presidente Federmanager FVG