Capita, a volte, di imparare dai più giovani. E per me è una gioia. Quando suonavo, una vita fa (anche due!), il livello tecnico del 90 per cento dei gruppi era scarso se confrontato con quello raggiunto dai ragazzi di oggi. Loro hanno la rete, che li mette in contatto con il mondo e così possono ascoltare e vedere tutto, vivono migliori situazioni economiche che permettono di acquistare strumentazioni che noi sognavamo soltanto, hanno più occasioni di esibirsi dal vivo e di incidere un disco. Ma qui non voglio fare confronti né perdere tempo nel solito bolso discorso del confronto tra generazioni. No, mi interessa di più imparare (nuovamente) dai giovani l’amore per la musica, per il fare musica insieme, per lo studio del rock e dei suoi eroi come un classicista fa con Bach, Mozart o Beethoven. Lo si può fare anche con i Cream, con Hendrix, Led Zeppelin, Deep Purple, Humble Pie, Free, Pretty Things, Mountain e Grand Funk, senza dimenticare la scuola blues inglese e i maestri americani (Garcia e Neil Young in testa). O no? Io dico di sì.
Mi hanno offerto lo spunto i Mountain Shack, che recentemente hanno travolto il pubblico friulano con una bella reunion al Tana live pub di Udine. Anthony Basso, Alex Tatalo e Jack Del Torre, tre talentuosi ragazzini terribili della musica, 10 anni dopo l’ultimo concerto (al Black Stuff dell’amico Joe), in questo 2024, poco più che trentenni, hanno voluto ricordare quel “lontano” passato rimettendosi insieme per una sera, ma mi auguro (assieme a quanti amano il buon rock) possa essere soltanto l’alba di un nuovo entusiasmante percorso insieme.
Si sono definiti Vintage band, non in quanto talentuosa cover band di capolavori, bensì come dichiarati “figli” di anni irripetibili, di suoni e stili che hanno studiato e assimilato, sublimandoli poi il tutto in pezzi propri. Come hanno fatto alla Tana: una quindicina di brani tra elettrici e acustici, un pizzico di funky e il gran finale di “Side of the rainbow”, che rimane il loro cavallo di battaglia, prima dei bis obbligatori di omaggio ai Cream (“Politician” “White room” e “Sunshine of your love”). La chitarra di Anthony è garanzia assoluta: bravo davanti al microfono, con la sua “Diavoletto”, ma anche con la Fender e con una Flying V se non erro, si è fatto apprezzare con gli W.I.N.D. e ha girato il mondo. Ma c’è ben di più: l’intesa e l’amicizia con Alex, creativo, preciso e hard al basso, e con Jack, drummer che più rock non si può. Il risultato? Impagabile gioia di suonare insieme.
Che cosa impariamo dai più giovani, allora? Proprio questo: fare musica vuol dire lasciar il computer a casa, salire sul motorino o sull’auto per incontrare gli alti, per giocare con la musica, ascoltare e studiare i classici (nel senso del rock, stavolta), scrivere cose nuove e divertirsi, stare bene insieme. Continueranno? Prenderanno strade diverse? Non importa. Assieme ad altri vecchietti, ho ritrovato la mia giovinezza grazie a questi ragazzi. Possono essere quasi nostri nipoti, ma sempre nipoti rock.
Nicola Cossar