Gli incubi juventini corrono su un nome strano e affascinante: Lautaro

Lautaro come Martinez bombardiere nerazzurro che con 19 reti viaggia con l’Inter verso lo scudetto, quel tricolore che la scoraggiata armata di Max Allegri si è ormai rassegnata a vedere con il binocolo.

E Lautaro come Giannetti, pure lui argentino ma di sangue italico, il santo protettore dell’Udinese che con lui in campo non ha subito gol nelle ultime due partite e ne ha realizzato uno da tre punti proprio allo Stadium torinese sovvertendo clamorosamente il pronostico che non dava scampo allo svalutato bianconero del Friuli.

Lautaro non significa nulla qui da noi, non richiama un personaggio storico o religioso di riferimento, ma un significato lontano ce l’ha a latitudini esotiche: è infatti l’evoluzione e sintesi ispanica di due parole nella lingua amerinda dei Mapuche: “falco veloce”.

Non v’è dubbio che il Lautaro interista sia veloce-velocissimo oltre che potente e rapinoso, mentre il Lautaro dell’Udinese non dà quell’idea. Di lui – interprete di un altro ruolo – colpiscono la calma, la capacità di leggere le situazioni e il senso della posizione, il carisma del capo che rassicura: insomma, uno su cui fare affidamento. E queste qualità sono sintetizzate benissimo nel gol che ha mandato in orbita l’Udinese già al 25’ del primo tempo: la punizione tagliata e ficcante di Samardzic crea scompiglio nell’area juventina, la deviazione svirgolata di Alex Sandro trova appostato nei pressi della porta il nostro Lautaro che con calma veloce ed elegante colpisce la palla sotto il naso dello juventino, incrociando il tocco là dove Szczesny mai potrà arrivare. Senso della posizione e velocità di pensiero.

Nessuno crede che quel gol possa risultare decisivo: vedrai che prima dell’intervallo la Juve pareggia e poi saranno cavoli nostri! Non accade, tanto meno nella ripresa quando la foga manda ancor più fuori giri gli juventini, e tanta impotenza annebbia anche Allegri che prova a rimediare con cambi un po’ strani. Cambi che non incidono perché il copione è ribaltato: quelli dell’Udinese sono mentalmente padroni e sanno cosa fare, quelli della Juve no, recitano sui nervi dell’incredulità davanti alle maglie arancione che sembrano moltiplicarsi, ostruiscono ogni corridoio, protette infine da un portiere coraggioso che non teme l’uscita: Okoye, stilisticamente non impeccabile se volete, eppure estremamente efficace quando si erge nelle mischie a pugni spianati.

E’ la storia di una partita a suo modo epica che l’Udinese vince non tanto per fortuna risarcitoria dopo le tante beffe (e i tanti punti persi) che ne hanno condizionato la stagione, ma per un’interpretazione perfetta del catenaccio intelligente. E’ vero, l’Udinese non ha nemmeno sfiorato i guantoni di Szczesny, ma è altrettanto vero che la Juventus ha annusato da vicino la rete in non più di due occasioni. Così poco a fronte del 71% di possesso palla. Cioffi, del quale più volte s’è sottolineata la perizia nel preparare il piano-partita (e stavolta ha pure indovinato i cambi!), se l’è studiata proprio bene.

Al resto ha contribuito la naturale struttura della squadra, che soffre quando è attaccata in velocità da agili incursori, mentre alla Juve, fatta eccezione per qualche accelerata di Chiesa e di Cambiaso, è mancato il cambio di passo, ha masticato gioco monocorde facilitando il dispiegamento difensivo dell’Udinese, brava a ostruire gli spazi coi movimenti collettivi e forte anche nei duelli individuali. Nessuno dei nostri ha patito la personalità dell’avversario diretto, anche i più giovani (vedi Kristensen) hanno retto brillantemente il confronto.

Questa vittoria, inattesa e per questo ancora più bella, pesa oltre i risvolti della classifica, che ora vede l’Udinese allungare a tre punti il margine di sicurezza sul terz’ultimo posto. Può finalmente segnare la svolta nella consapevolezza di un valore che non è quello di numeri invero modesti. Niente più incertezze e paure, dunque, ma neppure supponenze e atteggiamenti superficiali che erano affiorati in scia alle altre due vittorie della stagione, quella a San Siro col Milan, e la casalinga sul Bologna, guarda caso squadre che come la Juventus viaggiano tra le prime cinque.

Ora il calendario si mette in discesa: portare a casa sette punti dal trittico Cagliari-Genoa-Salernitana (nel frattempo passata da Inzaghi a Liverani) vorrebbe dire tornare a livello, respirare l’aria buona della tranquillità. Con una curiosità sfiziosa da soddisfare: verificare se davvero un singolo giocatore al posto giusto (Giannetti, il nostro falco veloce) può cambiarti la vita. 

Mister Gabriele Cioffi

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