La sassata di Zemura che pietrifica Scuffet; finalmente calcio da godere grazie a Thauvin, un piacere per gli occhi per come dispensa classe e ispira la manovra offensiva. E anche tutto il resto funziona come si deve. Il Cagliari sembra uno scolaretto spaurito davanti a un’Udinese in cattedra.
Eccola qui, è tornata l’Udinese che ha stracciato il temuto Bologna perché inizialmente la partita ricalca quella del 30 dicembre della prima vittoria stagionale in casa. L’unica nota stonata è un cioccolatino che va di traverso quando Lucca, su pennellata del francese, manda fuori la comoda incornata del raddoppio che avrebbe sepolto la partita.
E quindi si pensa: seguitando sulla falsariga ne arriveranno altre di occasioni, questa la vinciamo di sicuro, consolidando la piattaforma su cui una settimana fa, dopo lo straordinario blitz di Torino sulla Juve firmato Giannetti, avevamo costruito il cronoprogramma della tranquillità, ovvero tre punti subito e altri quattro da intascare tra Genoa (sabato prossimo a Marassi) e Salernitana.
Per 44 minuti ci siamo cullati in questa prospettiva, per nulla fideistica a guardare l’Udinese padrona del campo, anche troppo sicura di sé per alcune concessioni all’accademia. Per rimettere tutto in discussione è bastato un terzo tempo ben fatto, l’inserimento di Gaetano che sul cross di Augello salta sulle teste di Giannetti e Perez.
Come se un misterioso virus si fosse intrufolato nella testa dei bianconeri, come se un fantasma avesse pigiato l’interruttore della lampadina, nella ripresa l’Udinese perde ispirazione e gambe, finisce al buio. L’altra faccia di una squadra che ritorna bambina impaurita. E alla fine, registrando l’1-1 conclusivo (14° pareggio stagionale), tocca dire che è andata anche bene perché il saggio Ranieri, esplorato per bene l’orizzonte, riorganizza le sue truppe che – in omaggio al condottiero che in settimana s’era detto pronto ad andarsene – tirano fuori il cuore e il coraggio per andare a cercare la vittoria: la annusano con Lapadula (traversa), la inseguono sino alla fine guadagnando metri verso Okoye, costringendo l’Udinese a rinculare senza più forze e coordinate per ripartire.
Come sia stato possibile un voltafaccia del genere nessuno l’ha capito. Neppure Cioffi è stato in grado di dare spiegazioni convincenti. Vera è la costante di tante altre partite, cioè l’inutilità dei cambi, che nulla aggiungono e anzi diventano zavorra. Fuori gli esterni titolari, Ebosele e Ferreira si smarriscono nel caos, Success e Brenner non pervenuti, trotterellano, non tengono un pallone… Quello c’è e quello mette dentro Gabriele Cioffi, che a nostro parere qualche minuto in più poteva concederlo a Thauvin, l’unico in grado inventare qualcosa in prima linea, mentre bene ha fatto a mantenere in campo l’ormai esaurito Samardzic nella speranza che un corner o una punizione ispirassero il suo sinistro.
Ci sarebbe da dire qualcosa sui fischi piovuti alla fine sui bianconeri. Sono figli della delusione e dell’incredulità nel vedere la squadra che ha battuta la Juventus finire in balia di un avversario più scarso e disperato. Si spiega: è molto più facile difendersi (anche bene) com’è successo a Torino, trovando per strada il gol della provvidenza, che organizzarsi per fare la partita, per prendere in mano il pallino del gioco e mantenerlo. Eppure per un tempo la cosa era riuscita.
Resta il mistero, invece, sull’altra squadra tornata in campo dopo l’intervallo. Ed è probabile che questo e troppi altri rebus inestricabili ce li porteremo dietro sino alla fine.