2 Rovine sommerse di San Gottardo

GRADO, INDAGATI SETTE SITI ARCHEOLOGICI

NELLE ACQUE DELL’ISOLA

Relitti navali, un’ara funeraria di epoca romana e strutture

monumentali studiati dagli archeosub dell’Università di Udine

Le ricerche puntano a ricostruire il paesaggio archeologico

tra il mare di Grado e l’Aquileia romana

Udine, 8 ottobre 2024 – Sette siti archeologici nelle acque di Grado – tra cui relitti navali, un’ara funeraria di epoca romana e strutture sommerse di natura monumentale – sono stati indagati dall’Unità di archeologia subacquea dell’Università di Udine. Ricostruzione del paesaggio archeologico tra il mare di Grado e l’Aquileia romana. L’area delle attuali acque che circondano l’isola è infatti parte di quella che in epoca romana era la periferia di Aquileia. Le attività sono state condotte in collaborazione con la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia. Si tratta della prima campagna di indagini del progetto Aquileia Waterscape del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Ateneo friulano. Il progetto fa parte delle linee di ricerche strategiche del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale, riconfermato dipartimento di eccellenza per il quinquennio 2023-2027 dal Ministero dell’università e della ricerca.

I risultati delle ricerche sono stati presentati oggi all’Ateneo friulano. Sono intervenuti il rettore, Roberto Pinton; il vicepresidente della Regione Friuli Venezia Giulia e assessore alla cultura e allo sport, Mario Anzil; per la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, Giorgia Musina; la direttrice del dipartimento, Linda Borean, e il coordinatore scientifico delle ricerche,Massimo Capulli, responsabile del progetto Aquileia Waterscape.

Le Piere di San Gottardo

Tra i siti di maggior interesse vi sono le cosiddette Piere di San Gottardo, poste a poco più di 1,5 chilometri a sud-est della bocca lagunare di Grado. Il sito è caratterizzato dalla presenza di un cumulo quadrangolare di blocchi litici che, giacendo su un fondale sabbioso compreso tra i meno 3,90 e i meno 4,40 metri, si elevano fino a una quota di meno 2 metri. Da qui provengono alcuni monumenti funerari, in verosimile condizione di riutilizzo, databili al II sec. d.C., che sono stati recuperati nel primo intervento, del 1933, nonché in una prima campagna di studio del 1985. L’Università di Udine è tornata sulle Piere di San Gottardo a 90 anni dalle prime esplorazioni subacquee per condurre una documentazione di dettaglio, partendo dal settore più meridionale. Qui è stato osservato un accostamento di elementi lapidei non casuale, anche nell’orientamento. Le verifiche subacquee hanno constatato che alcuni di questi elementi hanno tracce di lavorazione che ne suggerirebbero una originaria funzione architettonica. Al momento non è invece certo se tutti, o solo in parte, possano essere materiali di reimpiego. Se, infatti, gli elementi lineari potrebbero essere stati utilizzati per la prima volta in questa che sembra essere un’opera marittima, ciò risulta meno probabile per quelli lavorati e abbastanza inverosimile per i monumenti iscritti recuperati nel secolo scorso, nonché una inedita ara funeraria individuata proprio in occasione di queste nuove ricerche.

Didattica in mare

Le ricerche subacquee sono state anche un’occasione formativa per gli studenti di archeologia e di sperimentazione interdisciplinare. Questo grazie al Centro di ricerca interdipartimentale “Artificial intelligence for cultural heritage” (AI4CH), nato dalla collaborazione tra i dipartimenti di Scienze matematiche informatiche e fisiche e di Studi umanistici e del patrimonio culturale.

Le ricerche

Dopo una prima identificazione i siti sono stati più correttamente individuati con il Sistema satellitare globale di navigazione (Gnss), che ha un margine d’errore di soli due metri. Stabilite le coordinate precise gli archeologi hanno effettuato le indagini subacquee per studiare la natura dei siti in modo non invasivo. Il sito di San Gottardo è stato utilizzato anche per testare software di intelligenza artificiale per la gestione dei rilievi fotogrammetrici sviluppati dal Centro interdipartimentale AI4CH. Al contempo è servito per sperimentare l’uso integrato di tecnologie aereo-subacquee, quali un catamarano a navigazione autonoma dotato di sonar a scansione laterale e un aeromobile a pilotaggio remoto.

Perché Aquileia Waterscape

Le indagini archeologiche interessano le acque di Grado perché in epoca romana facevano parte della periferia di Aquileia. Qui verosimilmente esisteva un porto diffuso dove avveniva il passaggio dei carichi dalle navi più grandi a quelle a fondo piatto che potevano più facilmente raggiungere il porto urbano o percorrere le vie d’acqua interne che interconnettevano la regione. L’obbiettivo del progetto è la ricostruzione di questo paesaggio d’acque, la cui conoscenza è fondamentale per lo studio delle dinamiche di interazione tra il mare e la metropoli aquileiese. La scelta di indagare lo spazio acqueo più prossimo all’abitato gradese è stata inoltre suggerita dalle scoperte, nel 2022, di due nuovi relitti di epoca romana. Da una parte c’era l’esigenza di meglio definire il rapporto tra i due siti e dall’altra di acquisire informazioni più generali sul paesaggio archeologico sommerso di questa zona di transizione tra mare e laguna.

La storia del progetto

Nel 2019, a poche centinaia di metri dal lungomare di Grado, la ditta di “Lavori Subacquei” di Stefano Caressa segnalò una presenza sul fondale identificata dal sonar. La Soprintendenza avviò così una prima verifica che consentì di individuare un ceppo d’ancora in piombo che venne recuperato nel 2020. Sempre la Soprintendenza ha successivamente avanzato una richiesta di collaborazione scientifica al Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Ateneo che, nel luglio 2022, ha portato a una prima campagna di indagine scientifica. Questo ha consentito di scoprire la presenza di un nuovo relitto, chiamato Grado 5, databile al II-inizi I secolo a.C. Negli stessi giorni, a soli due chilometri di distanza, ma all’interno della laguna, sono stati localizzati assieme ai Carabinieri subacquei del Nucleo di Genova i resti di un secondo e del tutto inedito relitto di età romana, denominato poi Grado 6. Grazie alle potenzialità informative di questa parte del territorio acqueo del Comune di Grado, sia del versante marino che lagunare, dal 2023 l’Ateneo friulano ha presentato istanza di Concessione per indagini non invasive. Le attività a mare sono state condotte da ricercatori e studenti del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale con il supporto dalla ditta “Lavori Subacquei” di Stefano Caressa e con la partecipazione del tecnico subacqueo della Soprintendenza, Francesco Dossola. Inoltre, alcuni giorni sono stati impiegati a fornire supporto scientifico alle attività in mare coordinate dai Carabinieri del Nucleo per la tutela del patrimonio culturale di Udine.

LE DICHIARAZIONI

«I nuovi risultati delle ricerche archeologiche nelle acque di Grado – ha detto il rettore Roberto Pinton – confermano quanto sia importante continuare a studiare il nostro territorio, ricchissimo di importanti testimonianze del passato che possono diventare un patrimonio fondamentale per conoscere meglio la nostra storia e un valore aggiunto per le potenzialità turistiche del Friuli Venezia Giulia. L’apporto rilevante che hanno potuto dare i nostri studenti alle ricerche di archeologia subacquea conferma la propensione alla formazione di professionalità complete, che caratterizza i corsi di laurea istituiti presso il Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale».

Il vicepresidente e assessore alla cultura della Regione Friuli Venezia Giulia, Mario Anzil, ha sottolineato il fatto che «siamo una delle aree europee più a nord del Mediterraneo raggiungibili via mare: questa posizione e condizione hanno dato, nella storia, una straordinaria valenza strategica a questo territorio che oggi può essere riacquisita, sia dal punto di vista commerciale che culturale: le campagne di scavi di eccellenza – ha spiegato Anzil – condotte dall’Ateneo friulano permetteranno, ne sono certo, di ricostruire e di fare luce su aspetti inediti delle relazioni marittime che Aquileia vantava in quell’epoca: indagini illuminanti e arricchenti di cui la Regione non può che essere orgogliosa e sostenere.

«Ci candidiamo a essere una delle Regioni bandiera in Europa per la cultura – ha fatto notare il vicepresidente del Friuli Venezia Giulia–. Siamo la Regione che, in Italia, investe maggiormente in cultura, e lo abbiamo dimostrato anche nell’ultimo anno: destiniamo risorse finalizzate a moltiplicare gli effetti positivi della promozione storica del nostro territorio, con l’obiettivo di favorire concretamente una sua rinascita culturale basata sulla grande ricchezza che contraddistingue, oggi come ieri, il nostro territorio. Un plauso, pertanto, a questo Dipartimento – evidenziato infine Anzil – per il lavoro che da tempo sta facendo, peraltro non invasivo, sfruttando le tecnologie più innovative e coinvolgendo gli studenti in lezioni non solo teoriche ma anche pratiche, sul campo».

Secondo la direttrice del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale, Linda Borean, «i risultati del nuovo progetto Aquileia Waterscape confermano il livello eccellenza delle attività di ricerca del Dipartimento, dichiarato di “eccellenza” per la seconda volta consecutiva dal Ministero dell’università e della ricerca per il quinquennio 2023-2027. Nel contempo confermano e consolidano la collaborazione con gli enti di tutela del territorio e del suo patrimonio culturale».

Giorgia Musina, della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, dopo aver ricordato che «ilDipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine è una eccellenza a livello regionale e nazionale» ha sottolineato il fatto che le indagini archeologiche «sono molto importanti per la Soprintendenza perché oltre all’attività di ricerca svolto anche un ruolo di tutela e di monitoraggio dei siti».

Per il coordinatore delle ricerche, Massimo Capulli, docente di metodologia della ricerca archeologica all’Ateneo friulano, «anche se oggi i resti di Aquileia fanno pienamente parte di un paesaggio agricolo e il suo porto si trova all’ombra di una innaturale sopraelevata “passeggiata archeologica,” che ne altera fortemente l’originaria prospettiva la città dovette la sua fortuna alla propria posizione a guisa di cerniera tra le rotte trasmarine e i percorsi terrestri. Tuttavia – ha spiegato Capulli –, questa colonia non venne edificata proprio lungo la costa, venne bensì fondata nei pressi di una sorta di interfaccia tra la pianura e la laguna di Grado, ovvero all’interno di un “waterscape” di acque salse che la circondavano e forse inizialmente permeavano. La ragione di questa scelta, così come per molte altre città romane dell’Adriatico nord-occidentale, è data da una morfologia costiera bassa e sabbiosa, che già gli autori antichi definivano inadatta alla portualità. Ecco il perché Aquileia e il suo porto furono realizzati a poco più di nove chilometri di distanza in linea d’aria dalla costa attuale, ma forse – ha concluso Capulli – sarebbe più esatto dire che nei pressi della città si trovava il solo terminal finale di un sistema portuale che doveva essere invece di tipo diffuso».

5 Indagini nel sottofondale marino mediante siringa ad acqua
6 Uso integrato di tecnologie aereo-subacquee aeromobile a pilotaggio remoto e catamarano a navigazione autonoma dotato di sonar

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