
Molti i giovani che hanno partecipato alla Via Crucis per arrivare in Duomo a Codroipo e poter partecipare alla serata presieduta dall’arcivescovo di Udine Lamba.
Dopo la cerimonia anche la spiegazione da parte di Don Ivan Bettuzzi parroco del paese. La storia raccontata narra che il Cristo Nero, come lo chiamano i codroipesi per via della sua colorazione bronzea, è innanzitutto un dono. Un’opera di tale valore difficilmente sarebbe giunta a Codroipo in epoca napoleonica se chi ne permise il trasferimento alla Chiesa arcipretale di Santa Maria avesse conosciuto la sua storia.
Le radici di questa vicenda affondano nel Medioevo, un periodo in cui in molte città italiane, inclusa Venezia e la stessa Codroipo, nacquero le prime confraternite laicali. Tra queste, la prima fu quella dei Battuti, seguita da molte altre, spesso legate a un’arte o a un mestiere, o semplicemente animate da intenti caritatevoli e assistenziali.
Proprio a Venezia, nei pressi del Teatro La Fenice, sorse una confraternita nota come Scuola di San Girolamo, poi ribattezzata Scuola di Santa Maria della Consolazione, ma più comunemente chiamata “dei Picai”. Questa confraternita, composta da laici e religiosi, si dedicava all’assistenza dei condannati a morte, che venivano giustiziati in Piazza San Marco, tra le colonne di San Marco e San Teodoro.
Durante le esecuzioni, i confratelli, vestiti con un saio nero e incappucciati, accompagnavano il condannato portando ceri accesi e intonando preghiere. Al patibolo, al prigioniero veniva offerta l’opportunità di baciare un crocifisso particolarmente venerato: il Crocifisso dei Picai.
Quest’opera, inizialmente colorata e solo in seguito divenuta scura, presenta la forma di un tronco d’albero sormontato da un pellicano, simbolo di Cristo che dona il proprio sangue. L’ispirazione proviene dal concetto del “Lignum Vitae”, ovvero la croce come albero della vita, un’immagine profondamente legata alla liturgia del Venerdì Santo e alla spiritualità francescana e bonaventuriana, diffusa fin dal Medioevo.


