L’Amministrazione Trump vuole riformare l’economia globale attraverso un’azione shock sulle tariffe. Il muro alzato dal Presidente nei confronti di tutti i Paesi che esportano verso gli Stati Uniti persegue l’obiettivo strategico di riequilibrare i rapporti di interscambio per contenere e ridurre il disavanzo della bilancia commerciale statunitense. In contemporanea, l’Amministrazione si è posta l’obbiettivo di contenere il deficit federale, cercando di ridurre l’enorme stock di debito del Paese salito a gennaio 2025 a oltre 36 trilioni di USD pari al 122% sul Pil.
L’elevato livello raggiunto dai rendimenti sul Treasury bond a 10 anni lo scorso gennaio, poco inferiore al 5%, ha aperto un serio interrogativo sulla sostenibilità del debito. Da qui la necessità non rinviabile di mettere in equilibrio le finanze a partire dai deficit gemelli: commerciale e federale. La politica sui dazi ha quindi l’obiettivo primario di ridurre tale debito.
Com’è noto Il 2 aprile il Presidente ha indicato per ogni singolo partner commerciale le tariffe reciproche. Le modalità con cui sono stati effettuati i calcoli tengono aperta la via per una soluzione politica del problema, da affrontarsi con una trattativa in cui ogni singolo partner metta sul tavolo congrue contropartite compensative. L’Europa potrebbe quindi mitigare l’impatto con un maggior impegno ad importare energia e prodotti statunitensi a partire da quelli agricoli, riducendo le barriere commerciali, in particolare sui servizi, confermando altresì l’impegno ad investire il surplus della Bilancia commerciale verso gli Usa sottoscrivendo Treasury americani.
I mercati hanno reagito al provvedimento con estrema negatività scontando scenari recessivi su scala globale, spingendo così il presidente Trump a sospendere per 90 giorni l’entrata in vigore del nuovo regime tariffario, lasciando in vigenza una tariffa generalizzata del 10%. Dopo la mossa della Casa Bianca, gli analisti hanno ridotto le probabilità di recessione negli Stati uniti dal 65% al 45%. In ogni caso la volatilità con cui il Presidente Usa rivede le proprie decisioni contribuisce ad aumentare i dubbi e le incertezze negli operatori economici.
L’Europa in ogni caso rischia di perdere la sua guerra a colpi di austerity e compressione della domanda interna. La guerra commerciale innescata dai dazi si somma ad una situazione non ancora risolta su più fronti a partire dalla crisi della Germania e più in dettaglio dell’energia, dell’automotive e della manifattura in generale da quando ha abbracciato una transizione energetica ideologica e sbagliata, impedendo qualsiasi attività estrattiva e contemporaneamente dismettendo le centrali nucleari.
Più recentemente con il piano di Re-arm, si è, poi, aperto il rischio di creare il frazionamento degli equilibri tra singoli Paesi del mercato comune, lasciando che la Germania decida in autonomia un cambiamento delle proprie regole fiscali. In altri termini si è creato un precedente in cui soltanto i Paesi con a disposizione ampi spazi fiscali potranno creare fondi per rilanciare l’economia attraverso nuovi investimenti. Per gli altri, come l’Italia, i margini di manovra rimangono sciaguratamente stretti, mettendo a repentaglio la tenuta dello stato della competitività delle imprese e con esse la tenuta dell’occupazione e dello Stato sociale.
Prima di andare alla guerra commerciale con gli Stati Uniti, come propugnato dai vertici europei, sarebbe il caso di fare un’analisi realistica dei rapporti di forza e della necessità di verificare la governance europea. Se dalle difficoltà si esce con le idee, l’attuale crisi di relazione con gli Stati Uniti potrebbe fornire l’occasione per prospettare una fase di cambiamenti radicali in cui l’Unione possa e debba ricostruire la competitività della propria base industriale persa negli ultimi due decenni. Per l’Europa può essere un’opportunità, a patto di garantire alle imprese condizioni più allineate agli standard di altre aree: forte deregolamentazione, ambiente pro-impresa , un sano realismo energetico in opposizione al pensiero ideologico degli ultimi anni.
Infine dopo la competitività bisognerà affrontare la sfida più complessa: trovare la via per riqualificare il basso livello dei salari e del reddito pro capite. In termini di scala bisognerà cercare soluzioni pe adeguarli anche in questo caso allo standard dei Paesi ad economia avanzata.
Abbiamo di fronte tante sfide. La disputa commerciale e di relazione che si è aperta con gli Stati Uniti può essere l’occasione per ripensare e ricostruire il domani secondo una logica manageriale di livello superiore.
Daniele Damele
Presidente Federmanager FVG
e Segretario Cida FVG