Come l’Udinese di Sottil, il quale aveva almeno l’alibi di una robusta infornata di nuovi e misteriosi giocatori da assemblare in tutta fretta, e gli mancava Pereyra. Anzi, peggio dell’Udinese di Sottil.
Peggio, fino al punto di scomparire dal campo com’è successo ormai più volte nella gestione Cioffi, le ultime riferite al secondo tempo casalingo contro il Cagliari e, fresco, il crollo contro il Genoa a Marassi, dove l’Udinese ha retto mezz’ora, evaporando ben presto sotto i colpi di Retegui e Bani. Gol presi con leggerezze inaudite, a causa di intese di reparto inesistenti: Lautaro Giannetti (che avevamo salutato con entusiasmo per la promettente prova a Torino contro la Juve) non fa primavera, e tanto meno il rozzo Kristensen, inesperto e controproducente poggiato com’è più sulla forza e sull’istinto che su testa e tecnica.
Se la difesa è di carta velina e davanti si segna ogni tanto per sporadiche prodezze individuali, pretendendo di fare contropiede con un centravanti di due metri come Lorenzo Lucca che invece andrebbe alimentato in continuità con cross dalle fasce; se proprio in questa fase delicata della stagione la squadra dovrebbe esprimere il massimo del suo potenziale e invece si inabissa; ebbene, se accade tutto ciò, cosa dobbiamo aspettarci?
La tifoseria, sconcertata e comunque sempre presente con un affetto commovente, risponde come può: con i fischi, oppure voltando le spalle al campo così rifiutando spettacoli inguardabili. Voi non ci rappresentate, non siete degni del nostro sostegno! E si teme il peggio, guardando con apprensione l’esiguo margine d’una vittoria che separa dal baratro.
Fuori del campo, la sconfitta di Genova ha il tono concitato di Balzaretti, il responsabile dell’area tecnica, che si aggira attorno al gol annullato a Lucca in contrasto con De Winter (che calcio è se penalizziamo il contatto?) e in vista della Salernitana invoca flebo di veleno nel sangue dei bianconeri, nelle cui vene pare circoli acqua zuccherata. E ha il volto terreo di Cioffi, il quale è costretto a riconoscere che sì, quella appena vista, era la peggiore Udinese della sua gestione. Mesto, con le orecchie basse, senza il guizzo ottimistico finora esibito alzando lo scudo contro ogni critica.
Sabato prossimo irromperà l’ora della verità, tragedia o resurrezione con l’arrivo al Friuli della Salernitana, destinata alla B eppure non rassegnata del tutto se è vero che si vocifera di un nuovo ribaltone: via anche Liverani e richiamo in panchina di Pippo Inzaghi per tentare il colpo di coda del tutto per tutto. Mancasse ancora la vittoria, si metterebbe male anche per Gabriele Cioffi, con due possibili alternative: il richiamo di Andrea Sottil, ancora sotto contratto, oppure lo sbarco in Friuli di uno specialista in imprese disperate come Davide Ballardini, dato anche come sostituto di Dionisi alla guida del Sassuolo in caduta libera.
L’Udinese in casa vanta l’unica vittoria sul Bologna, con le piccole mai ha fatto il pieno inanellando solo pareggi. Perché sia accaduto è facile da spiegare: deve fare la partita senza avere i mezzi per almeno controllarla se non proprio dominarla. E’ una squadra senza punti d’appoggio, l’Udinese: non morali, non tecnici, non tattici per l’immutabilità del sistema di (non) gioco che tutti hanno decifrato. E allora chi e cosa potrà fare la differenza? Una botta di fortuna che indirizzi subito la partita nella giusta direzione (un gol non basta, ne servono due per non far crollare le labili certezze dei nostri: è accaduto contro il Bologna) e l’apporto del pubblico, chiamato a lasciarsi alle spalle risentimenti e pessimismo per trasmettere forza e rabbia agonistica.
Quello stesso fedele e ammirevole pubblico che si gode uno stadio meraviglioso (per le cui innovazioni green ed energetiche la dottoressa Magda Pozzo, strategic marketing coordinator del club, fa incetta di premi e riconoscimenti in giro per il mondo), ma forse lo baratterebbe con quello vecchio che esponeva ad acqua e neve pur di rivedere l’Udinese di Zac, di Spalletti e di Guidolin.