TARCENTO – La nota giornalista Paola Treppo è in libreria con un libro alquanto particolare “I morti raccontano i vivi. Storie friulane dall’oltretomba” . Un tema scottante e molto attuale. Alla ricerca delle radici più sacre del nostro passato: dai modi dell’elaborazione del lutto, ai riti per ottenere la protezione dei defunti….
Racconta di due dimensioni, diverse ma che si intrecciano sempre, quella della vita terrena e quella della morte, il libro “I morti raccontano i vivi. Storie friulane dall’oltretomba”, edito da Chiandetti Editore di Reana del Rojale (Udine).
Racconta di come, nel Friuli storico, si sia affrontato, nel recente passato, ma anche in antichità, il mistero del trapasso. Di come sia stato elaborato il lutto e dei modi diversi di restare in contatto con chi ci ha lasciato.
Ecco allora che il paesaggio del Friuli diventa una terra da “leggere”, nei suoi simboli e nei suoi segni più sacri. Spesso nascosti. O che non si ha cura, o che si teme, di guardare veramente. Appaiono i vecchi cimiteri, le croci abbandonate infilate nelle pietre bianche delle montagne carsiche. Appaiono le “pietre” dei morti, come quella che ancora si erge nella piazza di Marano Lagunare. E poi scorrono le parole: sono quelle di chi racconta, tramandando una preziosa memoria orale, i modi e gli usi dei funerali di un tempo, la cura dei cimiteri, il suono delle campane, le leggende, le terre sacre dimenticate. E poi ci le tradizioni culinarie; sono queste, forse, le uniche che sopravvivono ancora, in una contemporaneità, in un mondo sempre più veloce, che non accetta la morte; che tenta vanamente di nasconderla.
Il libro, che non fa paura e che vuole accompagnare alla riscoperta di queste nostre radici, tra il mondo che vediamo e quello che non vediamo, raccoglie ciò che la comunità ricorda di un tempo: a partire dal Primo e dal Due Novembre, ad esempio. O dei fiori di carta che decoravano le tombe una volta, insieme (ma non sempre) al fiore vivo, simbolo della luce, il crisantemo.
Sì, una volta, quando non c’era bisogno neanche di scrivere il nome, sulla sepoltura. Raccontava, infatti, Liduina: “C’era solo la croce, sulla sepoltura, ai miei tempi. E su di essa né nome né foto del morto: ognuno sapeva dove andare a cecare il suo”.